Un diverso punto di vista sull’olivicoltura superintensiva

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Il dibattito sull’olivicoltura superintensiva infiamma il settore oleario italiano, mettendo a confronto due visioni apparentemente inconciliabili. Da un lato, i custodi della tradizione, che difendono la biodiversità, il paesaggio e le pratiche secolari; dall’altro, i fautori dell’innovazione, che invocano la necessità di modernizzare un settore in crisi, puntando su produttività, sostenibilità economica e competitività sui mercati globali.
La decisione di Slow Food Italia di escludere gli oli da impianti superintensivi dalla sua guida 2025 ha scatenato un’ondata di reazioni. Barbara Nappini, presidente dell’associazione, ha ribadito la volontà di valorizzare un’olivicoltura che rispetti l’ambiente e il tessuto sociale, aspetti che, a suo avviso, il modello superintensivo trascura.
Luigi Caricato, voce autorevole del settore, editore di Olio Officina, ha bollato la scelta come “antistorica e repressiva”, sottolineando la pluralità dell’olivicoltura italiana e la necessità di non accantonare gli agricoltori che tentano di modernizzare il settore. Caricato ha lanciato un allarme sull’abbandono degli oliveti tradizionali, un fenomeno che minaccia di cancellare un patrimonio inestimabile che negli ultimi anni sta lasciando il passo ad altri paesi emergenti produttori dell’oro verde, compromettendo la sostenibilità economica del comparto italiano, evidenziando che certi comportamenti portati avanti da Slow Food hanno sfumature che si avvicinano addirittura alla criminalizzazione dei produttori che operano in contesti iperintensivi.
Quel che è certo è che la contrapposizione tra tradizione e innovazione solleva interrogativi cruciali sul futuro dell’olio italiano. Come conciliare la tutela della biodiversità con le esigenze del mercato globale? Come garantire la sostenibilità economica degli agricoltori senza compromettere la qualità e l’identità del prodotto?
Il dibattito è aperto e le risposte non sono semplici. Tuttavia, una cosa è sicura: il settore oleario italiano è chiamato a trovare un equilibrio tra passato e futuro, tra identità e innovazione, per non perdere il treno della competitività e salvaguardare un patrimonio che rappresenta un’eccellenza del Made in Italy.